LAIKA MCMLIV
Intervista con l’artista romana di paste-up LAIKA MCMLIV:
La strada è la più grande galleria d’arte del mondo, la più democratica, la più immediata e diretta. L’arte di strada riesce a raccontare il mondo in maniera quasi istantanea, spesso sintetizzando concetti per i quali servirebbero fiumi di parole.
Lavori in modo anonimo e mascherato e mantieni segreta la tua vera identità. Chi è LAIKA? E da dove deriva il tuo nome?
Il nome Laika MCMLIV è un omaggio alla cagnetta Laika, nata nel 1954, primo essere vivente nello spazio. Il nome ha una doppia valenza perché racchiude in sé quello che è diventato il mio mantra, “punto allo spazio”, che sottintende il non porsi mai dei limiti, ma è anche un modo di uscire dalla me di tutti i giorni e guardare le cose con distacco.
Quando indosso la maschera mi privo dei filtri e dei preconcetti che ho, come tutti, nella vita quotidiana. Come amo ripetere citando Italo Calvino, “la forma delle cose si vede meglio in lontananza” e non esiste nulla di più lontano dello spazio per definizione. Quando indosso la maschera di Laika mi sembra di riuscire a vedere il mondo con maggiore oggettività perché lo osservo da molto distante.
Sul tuo sito web descrivi Laika MCMLIV come “un’attacchina romana” attiva dal 2019. Quali temi e argomenti affronti nelle tue incollature?
Per lo più ho attaccato poster sui muri. Ho anche dipinto un murale nel mese di luglio e poi, in studio, dipingo su tela o su altri supporti. Uno degli ultimi disegni che ho attaccato ritrae la sindaca Virginia Raggi in tenuta antisommossa. L’ho disegnato subito dopo lo sgombero del Nuovo Cinema Palazzo, uno spazio culturale autogestito presente a Roma da quasi 10 anni che è stato chiuso dalle forze dell’ordine pochi giorni fa.
Nel corso del tempo ho attaccato poster con tanti personaggi, da Jovanotti a Greta Thunberg, da Salvini a Patrik Zaki e Giulio Regeni. Non mi pongo limiti sulle tematiche che affronto. Quello che mi ispira finisce su carta senza mettere troppi paletti.
Cosa significa per te l’arte (di strada)? Come definiresti il tuo ruolo di artista?
La strada è la più grande galleria d’arte del mondo, la più democratica, la più immediata e diretta. L’arte di strada riesce a raccontare il mondo in maniera quasi istantanea, spesso sintetizzando concetti per i quali servirebbero fiumi di parole. Trovo sia molto stimolante e non rinuncerò mai al piacere di girare per le strade per trovare la giusta collocazione ad un mio progetto. Mi piace che una persona possa “inciampare” visivamente in qualcosa che non si aspettava di vedere lì, magari anche suscitando reazioni rabbiose o di sdegno. Tante delle mie opere sono state strappate dopo meno di 24 ore ma è il bello del gioco. L’arte urbana è viva ed interagisce con la città e con chi la abita.
Quali sono le differenze tra te come persona a livello privato e la tua figura artistica Laika?
Ce ne sono molte. La me che sta dietro la maschera è molto timida, riservata. La maschera di Laika è fatta per proteggere la mia privacy e permettermi di continuare a fare la mia vita in modo straordinariamente normale, senza essere influenzata da ciò che combino con la maschera bianca e il caschetto rosso.
Quando sono Laika invece sono molto più sfacciata e anche vanitosa. Mi sento più libera e sicura di me. In realtà questa doppia identità è molto stimolante perché tira fuori dei lati che nemmeno conoscevo.
Lavori da sola?
Tendenzialmente sì. Il lato creativo è tutta farina del mio sacco. Quando poi vado in strada capita che ci siano con me altre persone della mia crew, che sono anche alcuni tra i miei migliori amici, che mi danno una mano nella gestione pratica del progetto.
Sono apertissima a collaborazioni con altri artisti, anche se il voler mantenere a tutti i costi l’anonimato non aiuta in questo senso, purtroppo.
Come descriveresti la scena artistica urbana di Roma? Quali differenze vedi tra Roma e le altre città italiane o internazionali?
Non mi sento di parlare delle altre città perché non ne ho una conoscenza così approfondita da poter esprimere giudizi circostanziati.
Roma in questo momento è una miniera d’oro per tutti quelli che osservano i muri. Ovunque ti giri ci sono poster, sticker, poeti che scrivono sui muri, collaborazioni tra artisti che nascono per strada, mostre collettive, interi quartieri hanno cambiato faccia grazie ai murales sui palazzi. La scena è viva ed è una gran bella cosa.
Le tue opere contengono spesso ironia, riferimenti politici e personaggi pubblici. Quali messaggi vuoi che i tuoi lavori trasmettano, quali reazioni vuoi stimolare negli spettatori?
Non cerco sempre la stessa reazione, né le chiavi di lettura sono sempre le stesse. In generale mi piace tenere uno sguardo ironico e disincantato sul mondo. Mi affascinano i lati più grotteschi e cerco di restituirli in ciò che disegno. Ricerco l’ossimoro in quasi tutte le opere. È chiaro che questa non sia una regola universale, in alcuni lavori questa visione non c’è, ma l’esaltazione delle contraddizioni è ciò che mi interessa di più.
Nelle tue opere sono presenti anche personalità locali di Roma, come Bomba. Cosa ti ispira a relazionarti con loro? Si può dire che le celebrità locali modellano il paesaggio urbano di Roma, proprio come fa l’arte urbana?
Roma è quella città dove chiunque può diventare un mito. La romanità è talmente teatrale, e anche talmente rara, da prestarsi allo sviluppo di personaggi iconici come è, appunto, Fabio, il Bomba Anarchica. Ci sono luoghi di Roma che esistono solo in funzione dei personaggi che li abitano.
Ci sono altri artisti (di strada) che ti ispirano?
Moltissimi. Mi guardo sempre intorno per imparare, anche da chi è molto lontano da quello che faccio. Dai mitici Banksy ed Obey a Maupal, Lucamaleonte, Mimmo Rotella, Sten Lex, Qwerty, Blu e potrei continuare. A me piacciono le cose belle e cerco di conoscerne il più possibile.
Come affronti la tua arte in modo metodico e organizzativo?
Non c’è una metodologia fissa in termini di organizzazione del tempo. Ci sono opere che inizio e finisco in una sera e altre sulle quali rimango per mesi. Idee pensate, accantonate e riprese. Per quanto riguarda le tecniche sto cercando di sperimentare il più possibile: dal disegno manuale a quello digitale, collage, acrilico, composizioni con più lavori di quelli che poi faccio uscire. Cerco di capire con cosa mi sento a mio agio e lo utilizzo.
I luoghi in cui colloco le opere per me sono parte dell’opera stessa; ne rappresentano la cornice e cerco il più possibile un’attinenza col concetto dei disegni. Non è detto che questo sia sempre possibile ma ci ragiono sempre molto.
Le donne sono ancora sottorappresentate nel mercato dell’arte generale. In base alla tua esperienza, essere una donna che fa arte urbana è più difficile che essere un artista uomo?
Essere una donna è più difficile di essere un uomo. Il punto sta tutto lì. L’arte non penso faccia eccezione. La mia esperienza è comunque piuttosto sui generis perché ho deciso di non mostrare mai il volto. Rifiuto l’idea di dover per forza dare un’immagine di me, offrendo un qualcosa di totalmente impersonale, una maschera bianca, di modo tale che chi guarda una mia opera non la veda filtrata dal mio aspetto fisico.
Secondo te, il mercato dell’arte tradizionale è combinabile con l’essenza dell’arte urbana o significa agire in modo indipendente e solo in uno spazio pubblico?
La risposta l’hanno già data ampiamente i fatti. La street art finisce nelle gallerie e nei musei. Esistono pezzi realizzati da artisti che vengono dalla strada quotati milioni. Non fare i conti con questa realtà sarebbe folle ed anacronistico.
Quali sono i tuoi piani, progetti e sogni futuri?
Ho molte idee per il futuro; un paio di progetti a lungo termine sui quali sto già lavorando e che vedranno la luce tra un po’.
Non anticipo nulla però. Mi piacciono le sorprese.
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Immagini © LAIKA MCMLIV
Febbraio 2021