GERBOS MAD CITY
Intervista con il pittore e artista di strada spagnolo Gerbos Mad City:
L’interazione con le persone è sempre stata l’idea principale e il senso della mia pittura e del mio creare, perché la ragione per fare e vivere è condividere e stare insieme. Credo che sia quello che dobbiamo fare, creare connessioni fra noi e costruire un mondo migliore.
Gerbos Mad City, cosa puoi dirci di te e da dove deriva il tuo nome?
Beh, sono un artista spagnolo – forse più un artista di strada per il modo in cui penso e mi comporto. La pittura e il disegno sono da sempre le mie passioni e il mio mezzo di comunicazione, soprattutto perché mi sono sempre considerato “diverso”, non parte di o vicino al sistema convenzionale. Mi vedo e percepisco in maniera diversa.
Credo che molte persone possano capire questo punto di vista. Perciò faccio quello che voglio nel modo che ritengo più appropriato rispetto a chi sono, cosa ho, alla mia filosofia e mentalità, il che include seguire percorsi non convenzionali come la pittura di strada, per esempio.
Ho scelto “Gerbos” come alias perché deriva dalla parola spagnola “garabato”, che significa scarabocchio, cioè quello che facevo per la maggior parte del tempo a scuola: disegnavo sul banco e vedevo gli insegnanti uscire ed entrare dall’aula mentre il tempo scorreva. Non capivo benissimo cosa stessi facendo lì dentro, capisci?
Dopo qualche anno ho aggiunto il cognome “Mad City” in riferimento alla città in cui vivo, Madrid. Non fraintendermi: amo questa città, ma c’è anche questa situazione economica folle e un sistema burocratico che può fare impazzire chiunque.
Hai una laurea in design e scenografia, e hai studiato pittura e disegno. Cosa ti ha portato all’arte di strada; quando e come hai iniziato? Cosa ti spinge a esprimerti sui muri urbani nei luoghi pubblici?
Sono sempre stato per strada perché mi è sempre piaciuto stare all’aperto con le persone, farmi nuovi amici, respirare liberamente, pensare liberamente e dipingere con spirito libero. Ma mi sono anche sempre preso il tempo di studiare e lavorare in studio, ovviamente. Trascorrere tempo con se stessi è necessario per crescere, migliorare e imparare buone tecniche, anche da bravi professionisti.
Ciò che mi ha fatto innamorare del creare arte per strada e nei luoghi pubblici è stato semplicemente il fatto che sono, appunto, pubblici, aperti a tutti, e molto vivaci. L’arte può assumere molte forme e dimensioni diverse, e sono tutte accessibili perché la gente possa vederle. Andavo pazzo per la pittura all’aria aperta, e mi dava anche una sorta di brivido pianificare dei modi per farlo senza essere scoperto. Era una forte ossessione.
Sul tuo sito web affermi “La pittura è sempre stata la mia prima lingua, e quella più importante per me”, ma oltre a dipingere crei anche installazioni, murali e graffiti su qualsiasi tipo di superficie e veicolo, e fai anche tatuaggi. Pensi di essere ancora alla ricerca del tuo mezzo di espressione, o stai cercando proprio queste variazioni e sperimentazioni?
Adoro dipingere, ed è la prima cosa che faccio prima di iniziare un progetto di qualsiasi tipo, che si tratti di tatuaggi, sculture, installazioni… Ma amo tutti i tipi di creatività e le fonti creative. L’arte è vivace e infinita; la si vuole provare tutta e giocare con le sue opzioni. Ovviamente bisogna trovare anche il proprio modo di esprimersi, che per me significa sperimentare con tutte le tecniche, perché non ci sarà mai un solo modo di mandare un messaggio.
La tua arte cattura degli scenari onirici, quasi fiabeschi che affascinano gli spettatori con il loro incantesimo melanconico. Quali messaggi vuoi trasmettere con la tua arte? Quali sono le tue fonti di ispirazione?
Beh, ho iniziato illustrando un libro qualche tempo fa, intitolato The Industrial Giant, in cui provo a spiegare in dettaglio quello che penso delle grandi industrie e del mondo, e del sistema abusivo e incontrollabile del capitalismo, che è uno dei temi ricorrenti della mia arte. Il libro non è finito perché è un progetto enorme e ho cambiato molte volte idea su come farlo, quindi non l’ho ancora pubblicato.
Gioco anche con molte altre idee. Ho fatto diverse serie di dipinti e opere d’arte, per esempio scattered pieces, in cui parlo dell’energia e della bellezza che vedo nelle cose rotte e negli spazi abbandonati. Un altro dei miei lavori si chiama Magic Kids, in cui ho espresso le mie idee sui bambini che soffrono di autismo rappresentandoli come supereroi dotati di energie e poteri sovrannaturali. Altre mie serie sono più filosofiche. Trovo ispirazione in molte cose diverse che mi circondano o toccano. Non smetto mai di dipingere, perché è il mio modo di riflettere e comunicare, e mi permette di esprimere il mio umore in qualsiasi momento.
Il tuo obiettivo è sempre stato di creare insieme e rafforzare la cultura underground e l’auto-sostenibilità tramite l’arte. Potresti spiegare meglio cosa intendi con ciò e come lo ottieni in maniera pratica?
Creare insieme e aprire un dialogo sono sempre stati fra le mie motivazioni, soprattutto quando ho viaggiato per diversi anni, e ancora lo faccio ogni tanto. L’interazione con le persone è sempre stata l’idea principale e il senso della mia pittura e del mio creare, perché la ragione per fare e vivere è condividere e stare insieme. Credo che sia quello che dobbiamo fare, creare connessioni fra noi e costruire un mondo migliore.
Ora, qui in città, la penso uguale, ma è un po’ più difficile perché ci sono troppe distrazioni e cose di cui si ha bisogno per vivere. Ci sono troppo stress e fretta, e le persone non hanno nemmeno il tempo di essere loro stesse.
Ho sempre cercato di trovare un senso di comunità durante i viaggi e di creare qualcosa di bello insieme, e penso che sia la cosa più bella da fare. Ho sempre viaggiato per cercare persone in altre parti del mondo con stili di vita e modi di pensare diversi, che mi hanno dato la possibilità di imparare e di avviare uno scambio con loro, creando così le interconnessioni. Vivo per le persone, ecco tutto.
Una cosa che rende unica la tua arte è il fatto che quasi tutti i tuoi lavori sono fatti con materiali riutilizzati, seguendo la filosofia del riciclo. La “trash art” non è solo un modo di fare arte per te, ma anche un modo di vivere. Come lavori in termini di materiali e tecniche, temi e messaggi?
È semplicemente molto più divertente perché devi adattarti, tutto qui. Lavorare con qualcosa che ho trovato in luoghi abbandonati o per strada, modificarlo e trasformarlo, è molto più piacevole, perché lo creo dal niente. Non è la stessa cosa che si prova quando vai al negozio e compri tutto ciò di cui hai bisogno già pronto per l’uso. Si sente una connessione maggiore coi materiali che hai trovato, sai. Li stai salvando, riutilizzando e gli dai una vita nuova. È il doppio più soddisfacente e mi sembra molto più reale.
Pensare ai problemi ambientali mi fa sentire malissimo, triste. Molte volte mi sento in colpa e penso di rinunciare. Comunque non provo a far cambiare idea alle persone ignoranti con la mia arte. Mi comporto così perché mi sembra giusto, non mi fa stare male, ma non posso cercare ogni giorno di correggere la mentalità delle persone o di ispirarle a essere la versione migliore di loro stesse. Le persone capiscono le cose da sole, e chi vuole migliorare e comportarsi meglio trova da sé le informazioni e i buoni principi – a volte grazie ad altre persone, ma non voglio passare il mio tempo a insegnare o a convincere qualcuno. Non sono neanche uno che fa lunghi discorsi. Cerco di fare ciò che penso sia giusto e vero nel modo migliore possibile.
Il tuo film No fame, no game, no direction, one meaning documenta il tuo viaggio artistico attraverso diversi Paesi. Puoi parlarcene? Cosa ti ha ispirato a fare graffiti in autostop, quali Paesi hai visitato, con chi e per quanto sei stato in viaggio?
È stato un viaggio in autostop di cinque anni, e ho deciso di andarmene dalla Spagna perché mi stava andando di nuovo tutto male, in generale nella vita… Per me, l’autostop era la possibilità di viaggiare con pochi soldi e incontrare persone nuove. Sentivo il bisogno di farlo.
Come ho detto prima, sono sempre state le persone a motivarmi, mi hanno sempre fatto muovere e hanno risvegliato in me il desiderio di viaggiare. Viaggiare mi dà la sensazione di essere libero e “nudo”, indipendente dai luoghi, dalle costrizioni sociali e dagli obblighi.
Ho visitato molti Paesi nei miei viaggi casuali in autostop; a volte non sapevo nemmeno dove fossi, che era un po’ una follia… e molte volte andavo in alcune città o Paesi perché le persone mi scrivevano e mi invitavano a fare dei progetti insieme, associazioni, gruppi, gallerie o centri… Sono così andato da un posto all’altro, facendo visita alle persone e facendo amicizia, creando i miei progetti murali e dipingendo, dormendo alle stazioni di servizio o a volte anche per strada, finché non trovavo un nuovo progetto a cui lavorare.
Per la maggior parte del tempo ho viaggiato da solo, soprattutto quando facevo l’autostop o mi spostavo molto. Avevo una GoPro e ho iniziato a usarla solo quando mi sentivo solo: ho iniziato a parlare alla fotocamera, per poi riprodurre il video e guardarmi mentre dicevo cazzate. Col tempo ho iniziato a filmare di più e a registrare anche i miei dipinti e lavori. Quando avevo abbastanza materiale lo mandavo al mio amico Javier, che me ne chiedeva sempre di più. È così che è nato il film. Lui e Jaime, un altro mio amico, hanno prodotto la musica e hanno montato il film, mettendo insieme tutti gli spezzoni… sono fantastici.
Questa esperienza mi ha completamente cambiato, e mi ha anche aiutato in molti modi diversi. Ho conosciuto molti artisti fantastici e ho imparato diversi modi di fare, riparare e creare – e tantissime altre cose.
Che differenze hai notato tra le città o i Paesi in cui hai lavorato?
Direi che l’economia fa una grande differenza in termini di stile e livelli dei graffiti fra un Paese e l’altro. In molti posti in cui sono stato i ragazzi non avevano i soldi o i mezzi per comprare le bombolette spray e non si trovava un negozio che le vendesse da nessuna parte. Molti usavano comunque la vernice spray, ma non della stessa qualità. Diciamo che in alcuni posti in Europa si è costretti a trovare i propri metodi, o bisogna improvvisare di più… Mi piace vedere come ci riescono le persone, a prescindere da tutto. È stata un’esperienza forte che dimostra lo spirito di ciascuno e la sua situazione.
Un’altra cosa che cambia tutto sono le differenze linguistiche e di sintassi e l’accettazione generale dell’arte urbana. Ci sono luoghi in cui l’arte urbana è odiata agli estremi, altri in cui è tollerata o persino apprezzata, adorata. Penso che dipenda dal passato storico dell’arte urbana e dal suo impatto sul luogo, e da come queste persone pensano.
A livello personale, quando trascorri del tempo di qualità con quelle persone capisci anche che la loro storia coi graffiti non si è evoluta o ha avuto inizio nello stesso modo. Ogni persona e ciascun luogo hanno la loro storia.
Questo progetto è stato motivato anche dal desiderio di dare forza all’underground, pur rimanendo lontano dalle regole e dal sistema. Come definiresti l’underground? Cosa determina la pratica artistica libera per te?
Per me l’underground è definito dalle persone, dall’atmosfera, dalle attività, dalle culture e dai modi di vivere che non seguono né fanno parte dell’attuale sistema sociale, economico e politico. A volte non sono così puri, ma sono comunque meno commerciali di altri, non si sviluppano attorno agli interessi della maggioranza della società attuale. Sono le persone di cui dobbiamo prenderci cura e rafforzare, soprattutto se sono a favore del bene della natura, dell’ecosistema, della comunità, della pace per tutti e non supportano avidità, denaro, competizione violenta e guerre. È per questo che penso sia positivo trovare modi per prendere le distanze e scoprire delle opzioni al di fuori di quelle offerte dalla società commerciale e capitalista, per non fare ulteriormente del male al mondo.
Ci sono diversi livelli di libertà quando lavori come artista, a seconda se lo fai da solo o con qualcun altro, e se queste persone ti hanno assunto o stanno in qualche modo controllando l’opera.
L’underground, come ho detto prima, è un ottimo posto in cui creare e sentirsi liberi, ma a volte può essere anche pericoloso, perché non c’è chi si prende cura di te. D’altro canto, le istituzioni potrebbero non farti dire ciò che vuoi, o potrebbero persino cambiare le tue parole. Ma ho trovato dei luoghi bellissimi, anche se pochi, in cui ero libero di fare qualsiasi cosa volessi nelle gallerie o negli spazi ufficiali.
Nel film hai detto anche che “è difficile trovare un modo per entrare nella società; non c’è più spazio per i sognatori”. Pensi che l’arte (di strada) possa influenzare la società?
Sì, certo, lo fa l’arte in generale, credo. Ma l’arte deve dire qualcosa, mandare un messaggio e fare riflettere… non deve essere solo la stupida arte commerciale, tutta colorata, da cui la società viene stimolata in eccesso.
Per questo motivo provo anche un senso di responsabilità in quanto artista pubblico. Avendo in mano uno strumento potente, abbiamo l’obbligo di usarlo per fare qualcosa di buono per il pubblico, la gente e il nostro tempo.
Qual è stato finora il lavoro più memorabile o soddisfacente?
Mi è piaciuta molto l’installazione che ho fatto per OZM, una galleria innovativa per graffiti e arte di strada in uno spazio espositivo di più di 800 m2 ad Amburgo, in Germania. Ho realizzato la scenografia per un luogo distrutto all’interno delle sale della galleria e creato due sculture come parte della loro esibizione, aprendo un dialogo con i dipinti esposti. Quest’esibizione faceva parte del mio viaggio ed è connessa alle mie serie scattered pieces e the monks way.
Mi è piaciuto tantissimo fare anche il progetto per la Cityfuck street art gallery con due dei miei amici a Salonicco, in Grecia, in uno spazio artistico e galleria in cui gli artisti di strada possono mettere in mostra i loro lavori in abbinata ad altri eventi. O la volta che ho dipinto con i miei amici al Friendzone Sketch Club in Danimarca. Amo tutti i miei progetti murali e artistici, ma quelle più memorabili per me sono le esperienze con le persone che volevano condividerle con me.
E ora? Cos’hai intenzione di fare quest’anno (o non appena il Coronavirus te lo permetterà)? Cosa sogni per il futuro?
Per il momento rimarrò a Madrid, dipingerò alcuni muri e darò una mano nel mio studio di arte di strada, El Keller, che ha bisogno di attenzioni per riuscire a resistere, in qualche modo, alle sfide di questo periodo. È uno spazio concepito per garantire la diffusione e generare delle dinamiche e dei contenuti culturali al di fuori dei circuiti artistici ufficiali; si concentra principalmente sull’arte urbana nelle sue diverse modalità, come plastica, grafica, musica ecc. Di solito noi (un collettivo di creativi) progettiamo attività, esibizioni ed eventi. Sto cercando anche un lavoro come scenografo e designer per teatri, eventi, film… e continuo a vendere le mie opere.
E, ovviamente, non vedo l’ora di poter viaggiare di nuovo o di potermi trasferire da qualche parte per vivere in un luogo diverso. Mi piace cambiare sempre, conosco bene Madrid e penso di essere rimasto qui per troppo tempo ormai.
Per il futuro sogno di avere un mio studio in un bel posto e di poter continuare a guadagnarmi da vivere con la mia arte senza preoccupazioni, senza dover soffrire o fare troppi compromessi per colpa dei soldi, senza dover pagare le persone per poter respirare e vivere tranquillamente. Hah!
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Immagini © Gerbos Mad City
Marzo 2021
by Laura Vetter